Nei giorni di soggiorno a San Diego (nel primo giorno abbiamo visitato il centro, e nel secondo Sea World) Giulia continuava a chiedere di “fare un salto” in Messico. Dopo qualche discussione, abbiamo compreso come lei ignorasse la complessità dei rapporti di confine tra i due stati americani. Lei pensava che fosse come andare in Austria una volta che si è in Alto Adige (prima del covid-19 capitava che andassi in Austria solo per fare il pieno del camper). Ignorava quindi come il contratto di noleggio dell’automobile vietasse di entrare in Messico, e che esiste un muro tra i due stati, e che molte persone ogni anno muoiono nel cercare di attraversarlo.
Prima di lasciare San Diego abbiamo allora deciso di andare a vedere il famoso muro di separazione tra Stati Uniti d’America e Messico, noto anche come “muro di Tijuana“.
La sua costruzione ha avuto inizio nel 1990 durante la presidenza di Bush Senior: nel 1993, fu costruito il primo tratto di muro di 22,5 chilometri. L’obiettivo era impedire agli immigranti illegali di oltrepassare il confine statunitense. La barriera fu ampliata durante la presidenza di Bill Clinton con l’Operazione Gatekeeper in California, l’Operazione Hold-the-Line in Texas e l’Operazione Safeguard in Arizona. Ulteriori ampliamenti furono fatti con Bush Junior. Contrariamente a quanto si possa pensare, sotto la presidenza Trump sono stati effettuati pochi ampliamenti.
Attualmente, il muro supera i 930 chilometri.
A noi incuriosiva soprattutto la parte che arriva – e fisicamente entra – nell’Oceano Pacifico. Tuttavia, non ci si può arrivare in macchina per motivi di sicurezza; così abbiamo dovuto parcheggiare l’auto nei pressi di un centro di detenzione a abbiamo camminato una buona mezz’ora sotto il sole in mezzo a un ambiente semi-desertico.
La barriera è fatta di lamiera metallica sagomata, alta dai due ai quattro metri, e si snoda per chilometri lungo la frontiera. Precisamente, nei pressi di Tijuana ci sono due muri paralleli: il primo proprio lungo il confine, il secondo a qualche decina di metri e segue l’andamento del terreno.
Il muro è dotato di illuminazione ad altissima intensità, di una rete di sensori elettronici e di strumentazione per la visione notturna, connessi via radio alla polizia di frontiera statunitense, oltre ad un sistema di vigilanza permanente effettuato con veicoli ed elicotteri armati.
Questo muro è stato oggetto di dibattito e controversie, e spesso viene chiamato “muro della vergogna”. L’appellativo si comprende se si guardano le statistiche degli arresti e dei morti (dati Wikipedia):
– Tra il 1998 e il 2004, sono ufficialmente morte 1.954 persone lungo il confine Messico-Stati Uniti.
– Dal 2004, i corpi di 1.086 migranti sono stati recuperati solamente nel deserto dell’Arizona meridionale.
– Tra il 1º ottobre 2003 ed il 30 aprile 2004 sono state arrestate 660.390 persone dalla polizia di confine statunitense mentre cercavano di attraversare illegalmente il confine.
Mentre nel lato messicano si intravede una vera e propria città, nel lato statunitense c’è una riserva naturale, cui non si può accedere con i mezzi a motore. La natura, quindi, regna incontrastata.
All’inizio eravamo un po’ sgomenti per l’atmosfera surreale; poi ci siamo rilassati e abbiamo scattato decine di foto inebriati dal vento del Pacifico e il caldo sole della California.
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Nei tre giorni di spesi a San Diego abbiamo visitato:
(i) il Parco Balboa, il lungo mare e il centro come puoi leggere se clicchi QUI.
(ii) Nel secondo giorno siamo andati a Seaworld come puoi leggere QUI.
(iii) Nel terzo giorno il Muro al confine con il Messico, come puoi leggere QUI e l’Hotel Coronado, come puoi leggere QUI.
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